C’ERA UNA VOLTA…

Le mie origini, il rapporto con i miei genitori e la mia vita fino ai 18 anni.

Le mie origini
Sono nato nel 1967 a Bologna in una famiglia molto unita, nella quale i miei genitori vivevano il loro rapporto in maniera del tutto tradizionale, con mio padre che apparentemente comandava e mia madre che aveva, tuttavia, un ruolo assolutamente determinante. Una famiglia benestante ma non sicuramente “ricca” nel vero senso del termine, che aveva costruito la sua fortuna attraverso l’operato di mio nonno in prima generazione ma che poi non l’aveva consolidata a dovere poiché le cose non andarono, in seguito, come ci si poteva augurare.

L’elevato numero di parenti partecipi aveva frazionato molto le nostre proprietà azionarie, per cui ogni membro della famiglia poteva vantare una situazione agiata ma, al contempo, non poteva definirsi propriamente ricco. Da bambino non era stato tuttavia facile collocarmi in una precisa posizione sociale; mi sentivo in qualche modo privilegiato rispetto ai miei compagni di scuola non avendo alcuna sorta di problema economico a casa e potendomi permettere molte più cose rispetto a loro, ma sicuramente credevo la mia famiglia ben più facoltosa di quel che effettivamente era. Da piccoli non è facile avere piena consapevolezza del proprio status sociale; quel che è certo è che ciò che ero allora non aveva minimamente a che vedere con quello che sono diventato oggi e che è sotto gli occhi di tutti, seppure mi sentissi probabilmente un po’ presuntuoso a riguardo. Questo è il primo passo per sfatare il mito secondo il quale io abbia ereditato o ottenuto con facilità tutto quello che posso vantare oggi.

IL RAPPORTO CON I MIEI GENITORI E LO SVILUPPO DEL PENSIERO “ANTI-BORGHESE”
Come dicevo, la mia era una famiglia molto unita e i miei genitori non mi hanno fatto mai mancare nulla, tantomeno amore e appoggio. Erano molto legati tra loro, forse anche per il fatto che mio padre lavorava in un’azienda a 200 metri da casa senza mai spostarsi o viaggiare, restando attaccato al nucleo famigliare. Era una persona molto autoritaria, all’apparenza severa ma dall’incredibile bontà d’animo. Ha rappresentato sin dal principio l’esempio da seguire per me, il mio mondo; ogni azione, fin da bambino, era volta all’ottenimento della sua approvazione, al suo compiacimento. Di consensi, in realtà, me ne ha sempre riservati pochi, ma col senno di poi credo fosse dovuto all’intenzione, da parte sua, di alzare sempre più l’asticella dei miei risultati, avendo intravisto in me i numeri per sfondare. A lui devo la mia ostinazione e la mia voglia di competere e di primeggiare a qualunque costo. Mia madre era una donna tenace, ambiziosa, in grado però di far leva sul senso del dovere e di giocare sul senso di colpa altrui, atteggiamento molto frequente nella società moderna e che non ho mai approvato realmente. Se sono cresciuto con questo concetto di famiglia unita, devo però ammettere di aver sviluppato, in futuro, un’idea del tutto opposta a riguardo. La contrapposizione tra la mia visione di vita e i modi di fare di mia madre ha fin da subito generato in me un forte senso di “anti-borghesismo”, un desiderio di ribellarmi (in maniera forse anche eccessiva) ad ogni forma di costrizione o di imposizione non scritta da parte della società, a canoni prestabiliti. Tale sentimento è spesso presente nei bambini; io non ero differente e fin da allora ho fatto dell’anti-borghesismo una sorta di “missione di vita”.

La contrapposizione tra la mia visione di vita e i modi di fare di mia madre ha fin da subito generato in me un forte senso di “anti-borghesismo”

Da queste premesse deriva la mia opinione (consolidata negli anni) non del tutto positiva riguardo alla famiglia in senso lato: ho sempre reputato migliori i rapporti e i legami costruiti per scelta che quelli ottenuti per sangue. Intendo dire che non sento l’esigenza di dover frequentare, ad esempio, mio fratello solo perché è mio fratello, seppur gli voglia chiaramente bene. Per questa ragione forse non ho mai sentito l’esigenza di mettere su una famiglia mia. In futuro chissà…

IL TRASFERIMENTO A CORTINA E LA CARRIERA NELLO SCI
Ho trascorso la mia infanzia felicemente qui a Castenaso, nella villa in cui abito tuttora e che al tempo era una casa di campagna, fatta costruire da mio padre subito dopo la mia nascita. L’usanza dell’epoca per le famiglie appartenenti alla borghesia bolognese imponeva tuttavia il trasferimento in estate nella cosiddetta “casa al mare” e, in inverno, in quella “in montagna”. Era una specie di regola non scritta, uno dei suddetti “canoni”. Così i miei primi anni di vita si sono divisi tra Castenaso, Riccione e Cortina.

Proprio in quest’ultima, spinto dalla forte ambizione di mia madre, a quattro anni ho iniziato a sciare. La mia innata predisposizione per lo sport (mi bastava osservare i movimenti di maestri e istruttori per poi metterli in pratica senza difficoltà) e il mio talento sono stati evidenti fin da subito, tanto che a sette anni ho iniziato a vincere le prime gare diventando una delle migliori promesse italiane nella disciplina. Così arriviamo al primo avvenimento determinante della mia vita: il mio trasferimento definitivo a Cortina insieme a mia madre e la conseguente pseudo-scissione famigliare da mio padre e mio fratello, di quattro anni più giovane di me. Ottenemmo dalla scuola che frequentavo il permesso di poter vivere per tutto l’anno a Cortina con l’unico obbligo di dover dare un micro-esame al mio ritorno. Così mia madre mi fungeva da “supplente legittima” e mi seguiva nello studio durante i miei mesi di lontananza, mio padre saliva a trovarci nel week end. Quello era solo l’inizio di un percorso agonistico che sarebbe durato fino al raggiungimento della mia maggiore età. Lo sci era in quel periodo la mia ragione di vita; ci tengo a precisarlo perché fu solo la prima di diverse ragioni sostenute poi nel corso della mia esistenza. Ho sempre ragionato in questo modo, per obiettivi. Quando inseguo qualcosa per me esiste solo quello, senza distrazioni, senza hobby di sottofondo, solo con qualche contorno. Dritto al punto, pensando solo a migliorarmi e a svolgere in maniera maniacale azioni propedeutiche al raggiungimento della mia missione, chiaramente con tutta la determinazione necessaria.

 

Tornando allo sci, ho ottenuto negli anni ottimi risultati come la vittoria del Campionato Italiano di slalom gigante, il primo posto ai Giochi della Gioventù e il settimo posto al Campionato Mondiale Studentesco. Andavo molto forte e sono arrivato ad essere sicuramente il sedicenne più forte d’Italia. Poi? Poi ho perso la voglia e con essa anche i risultati se ne sono andati. Sentivo che quella non era la mia vocazione, che non erano le piste il luogo in cui avrei potuto esprimere al meglio il mio talento. Avrei potuto far finta di niente ma avrei mentito a me stesso.